L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà – e degli altri diritti reali – su di un bene attraverso l’esercizio pacifico, pubblico e non interrotto del possesso sul bene stesso, per un periodo di tempo predeterminato dalla legge.
Dunque, colui che ha esercitato il possesso sul bene per il periodo di tempo richiesto dalla legge, acquista la proprietà del bene, in ciò sostituendosi al precedente proprietario rimasto inerte.
Il codice civile prevede che di regola l’usucapione di beni immobili matura in 20 anni, mentre sono richiesti 10 anni per la maturazione dell’usucapione su beni mobili.
Ma a queste regole generali se ne aggiungono altre che individuano periodi più brevi, per esempio il possesso su di un bene acquistato da un soggetto che non è proprietario (e che dunque, non potrebbe venderlo), fa maturare l’usucapione in soli 10 anni, per i beni immobili, o 3 anni, per i veicoli, dall’avvenuta trascrizione del titolo di acquisto nei pubblici registri. Requisiti temporali diversi sono previsti per altre particolari situazioni.
Requisito fondamentale per usucapire un bene, come accennato, è il possesso, ossia il potere di fatto esercitato da una persona su un bene, e manifestato da due elementi essenziali: la materiale disponibilità del bene (c.d. corpus possessionis) e la volontà di trattare il bene come proprio (c.d. animus possidendi).
La giurisprudenza non richiede che il possessore abbia anche il c.d. animus usucapendi, ossia la specifica volontà di usucapire il bene: è sufficiente, come detto, la volontà di esercitare sul bene i poteri tipici del proprietario (Tribunale di Bari, sent. 1568/2022, Cass. 14115/2013).
Tant’è che per la Suprema Corte il possesso ad usucapionem è validamente esercitato anche da chi ha acquistato la proprietà di un bene in base ad una compravendita o una donazione nulle (e quindi, inidonee a trasferire la proprietà): poichè vi è la convinzione e la volontà, da parte dell’acquirente, di esercitare sul bene i poteri tipici del proprietario (pur non essendolo diventato), tale possesso è idoneo a far acquistare la proprietà del bene per mezzo dell’usucapione (Cass. Sent. 9566/2024).
Colui che non può usucapire è invece il mero detentore del bene. La detenzione è la situazione tipica di chi, pur avendo la materiale disponibilità del bene, riconosce su di esso la proprietà di un’altra persona (così, ad esempio, il conduttore/affittuario o il comodatario di un bene).
Proprio sulla distinzione tra possesso e detenzione (netta nella teoria, ma talvolta molto sottile nella pratica) si è sviluppata la giurisprudenza in materia di usucapione tra coniugi.
È stato superato, difatti, l’orientamento secondo cui il coniuge può usucapire la comproprietà degli immobili dell’altro coniuge (tramite il possesso manifestato, ad esempio, dall’intestazione delle utenze, dalle annotazioni catastali o dall’assunzione di importanti decisioni di straordinaria amministrazione). Per la Cassazione, infatti, “in costanza di matrimonio non maturano i termini utili all'usucapione da parte di un coniuge sui beni appartenenti all'altro coniuge, poichè […] per il legislatore il maturare dei termini utili alla prescrizione - e all'usucapione, in virtù del rinvio operato dall'art. 1165 c.c. - sia contrario allo spirito di armonia che caratterizza l'unione coniugale o civile” (Cass. Ord. n. 8931 del 04/04/2024).
Analoga regola è riproposta dalla Cassazione in materia di convivenza di fatto (Cass. civ., Ord. 27/06/2024, n. 17724).
Spesso, nella pratica, l’usucapione coinvolge fondi extraurbani, destinati a produzione agricola, e ciò è dovuto in buona parte ai periodici fenomeni di emigrazione di massa dalle zone rurali verso quelle cittadine, che con il passare delle generazioni porta all’abbandono dei fondi agricoli.
La prova del possesso dei fondi agricoli è da tempo oggetto di attenzione da parte dei giudici, perché spesso ad una duratura e protratta opera di lavorazione e pulizia dei campi, accompagnata dallo sfruttamento delle risorse agricole prodotte dal fondo, non corrisponde la prova del possesso. Non basta, cioè, coltivare il fondo per dimostrare di averlo posseduto, e quindi, per usucapirlo.
Per la Cassazione, “in caso di domanda volta all’accertamento dell’intervenuta usucapione della proprietà di un fondo agricolo, non è sufficiente la sua mera coltivazione, essendo tale attività compatibile anche con un titolo convenzionale, ma può rilevare quale prova l’intervenuta recinzione del fondo, manifestazione della volontà di escludere altri dal godimento di detto bene” (Cass. 1796/2022, 6123/2020).
L’usucapione opera automaticamente una volta decorso il termine richiesto dalla legge.
Tuttavia, per formalizzare l’avvenuto acquisto della proprietà (qualora il precedente proprietario non intenda riconoscere l’avvenuta usucapione in suo danno, con atto di ricognizione stipulato in sede notarile), è necessario rivolgersi al Giudice competente, promuovendo una causa contro il proprietario del bene.
L’azione deve essere promossa con l’assistenza di un avvocato, e preceduta dalla fase di mediazione.
Il professionista fornirà una consulenza sulla possibilità di avvalersi dell’usucapione e procederà alle ricerche dei formali titolari del bene (ricerca spesso resa difficoltosa da numerosi fattori, come i lunghi periodi trascorsi, il succedersi di diverse generazioni di eredi ecc…) ed infine imposterà l’azione giudiziaria.
La sentenza di accoglimento, che ha natura dichiarativa dell’avvenuto acquisto per usucapione, potrà dunque essere trascritta nei pubblici registri.
Diventa quindi fondamentale, qualora ci si voglia avvalere dell'usucapione, o si intenda resistere alle pretese di terzi sul proprio fondo, rivolgersi al proprio legale di fiducia.
01.09.2024
Avv. Giovanni Firrito
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